Friday, April 24, 2009
L'insostenibile leggerezza dell'etere
Quando cateti catodici si incrociano incastrandosi in inguardabili incagli invoco, provocante, revoche o avocazioni da piani alti o anche bassi che depotenzino l'imperante ubriacante bassezza profonda dei teledeliri di relitti ideologici dirottati come liquidi rottami nella palude ludica di recidivanti divergenze eternate da iperboli di sensi derivanti, cioè alla deriva. Etere, essenza etilica e telica, finalizzata alla narcosi collettiva.
Monday, April 6, 2009
Le fiere della vanità
Conoscevo il popolo abruzzese come particolarmente orgoglioso della propria origine e della propria forza, che altri tradurrebbero in cocciutaggine. Ad ogni modo me lo ricordavo molto tenace e poco indulgente alle sirene della (auto)commiserazione. Ieri sera, a reti unificate, si perpetrava l'ennesimo delitto alla dignità umana ad opera della nostra cattiva maestra televisione.
Un profluvio di lacrime sgorgava in maniera assai singolare dalla bocca anziché dagli occhi delle vittime del terremoto che, grazie al diabolico meccanismo di conversione mediatica, diventavano protagonisti complici di uno show del dolore, cui le platee televisive sono ben addestrate: vanitosi della propria condizione luttuosa al punto da esibirla compiaciuti in imbarazzanti pianti asciutti urlati nel megafono apprestato dal sacerdote officiante la (dis)funzione religiosa. Di una religione che non è solidarietà, ma orgoglio degli uni nell'essere vittime, degli altri nel non esserlo, di altri ancora nel raccontarlo. La morbosa curiosità del numero cresacente di morti, senzatetto, case inagibili, della pietra che ha distrutto il giocattolo, del respiro umano sotto coltri di polveri e calcinacci, del melting pot d'interni che vede cucine miste a soggiorni e letti precipitati su bagni mi sembra una fiera e fiere, nel senso di animali, nel senso spregiativo, tutti i partecipanti.
Abbiamo imparato che le novelle Cassandre scientifiche sono solo menagrami, che la protezione civile preferisce lavorare da sola, che di sangue ce n'è abbastanza per le trasfusioni e non c'è bisogno di altro: una volta tanto tempestività e autosufficienza dei soccorsi. Ma non si può dimenticare che l'esorcismo televisivo produrrà cinicamente liberazione dalle angosce collettive al prezzo di un euro, versato nelle tasche degli operatori di telefonia o qualche spicciolo in più in quelle delle banche: la speculazione sul dolore che non vede immune nessuno, neanche gli spettatori, fintamente attoniti, inconsciamente sereni, che pagano l'obolo come un prezzo per la distanza dalla sofferenza.
Un profluvio di lacrime sgorgava in maniera assai singolare dalla bocca anziché dagli occhi delle vittime del terremoto che, grazie al diabolico meccanismo di conversione mediatica, diventavano protagonisti complici di uno show del dolore, cui le platee televisive sono ben addestrate: vanitosi della propria condizione luttuosa al punto da esibirla compiaciuti in imbarazzanti pianti asciutti urlati nel megafono apprestato dal sacerdote officiante la (dis)funzione religiosa. Di una religione che non è solidarietà, ma orgoglio degli uni nell'essere vittime, degli altri nel non esserlo, di altri ancora nel raccontarlo. La morbosa curiosità del numero cresacente di morti, senzatetto, case inagibili, della pietra che ha distrutto il giocattolo, del respiro umano sotto coltri di polveri e calcinacci, del melting pot d'interni che vede cucine miste a soggiorni e letti precipitati su bagni mi sembra una fiera e fiere, nel senso di animali, nel senso spregiativo, tutti i partecipanti.
Abbiamo imparato che le novelle Cassandre scientifiche sono solo menagrami, che la protezione civile preferisce lavorare da sola, che di sangue ce n'è abbastanza per le trasfusioni e non c'è bisogno di altro: una volta tanto tempestività e autosufficienza dei soccorsi. Ma non si può dimenticare che l'esorcismo televisivo produrrà cinicamente liberazione dalle angosce collettive al prezzo di un euro, versato nelle tasche degli operatori di telefonia o qualche spicciolo in più in quelle delle banche: la speculazione sul dolore che non vede immune nessuno, neanche gli spettatori, fintamente attoniti, inconsciamente sereni, che pagano l'obolo come un prezzo per la distanza dalla sofferenza.
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