Sunday, May 30, 2010
Diacronie sincronizzate
Il mistero dell'orologeria d'antan. Meccanismi dentati che si intrecciano alla perfezione innescando catene di effetti che si dipanano nella produzione regolare del tempo. Così le strutture elastiche e anamorfiche della rappresentazione dialogano tra loro alla ricerca di identità, contesti, luoghi sempre cangianti, immerse in un racconto liquido su cui galleggia la necessità della comunicazione e affiorano, di tanto in tanto, emozioni radicali che generano, a loro volta, turbinii allegorici a pelo d'acqua, superficiali nella loro evidenza di densi bisensi. Un luna park del 'making of', che avviluppa relazioni perverse e solitudini (d)esistenziali, incidendo nella carne della realtà attraverso la chirurgia della finzione e sovvertendo, con un risultato di spiazzamento, i piani narrativi. La prepotente duttilità degli interpreti, artefici di un'incessante contaminazione dialogica sublimata nel 'tavolo di Babele', annichilisce per la semplicità dei continui cambi di registro. L'incesto diacronico suggerisce la circolarità della vita di chi è creatore e creato in una sintesi laica che deborda nella (co)scienza medica e nel black humorism. Un puzzle frammentato in tanti 'piéces', dai tasselli non sempre connettibili, ma che, ricomposto, ci restituisce un'immagine di dolore acuto, sonoro, che filtra nella malinconia della rigenerazione dei cicli. E affligge i protagonisti in un'affannosa ricerca/rifiuto dell'essere. Ad ognuno manca un pezzo, il pezzo risolutore: un figlio, una madre, un fratello, un padre, la sanità mentale e fisica, la voce (propria e del padre), un amore. Itinerari di privazioni, tortuosi, percorsi nell'ellisse quotidiana senza 'istruzioni per l'uso', ma con la certezza dell'eterno ritorno, pure nel rifiuto globale.
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