40 anni fa più o meno a quest'ora ho avuto paura di morire. Gli avvolgibili tirati giù vibravano di forza tellurica. Sembrava che uno stormo di picchi volesse entrare nel salone dove guardavo il telegiornale. L'esternità dell'apparente impatto inquietava e rasserenava al tempo stesso. Finché tengono le finestre, non ho problemi. All'improvviso le lampadine sospese cominciavano a proiettare luci ondulate sulle pareti, in un veloce turbinio incontrollabili. E il divano cominciava a muoversi (che gli uccelli siano riusciti a entrare e ad imbottire di piume esagitate i cuscini?). Voci sempre più acute attraversavano uno spazio non più terraneo ma liquido. Sussulti dei mobili - lo erano per davvero - si alternavano a grida sconnesse, lacerate, laceranti. Il terremoto. 'O Vesuvio!
Ricordo la notte passata in auto. La solidarietà e i rigurgiti di religiosità accantonata che si componevano in una catena di sopravvivenza tra i vicini, prima lontani, ed ora pronti a fuggire verso chissàdove in uno slancio irrazionale che doveva essere anche quello degli ercopompeiani, sopraffatti e raggelati in un bollente abbraccio imperituro.
Ricordo i giorni che seguirono. L'ansia costante che non si ripetesse. Non immaginavo che 40 anni dopo (un orizzonte temporale troppo lungo da poter esser visto, di cui non avevo alcun tipo di percezione mentale) ne avrei scritto.
40 anni dopo ho paura di non vivere. In realtà è da 8 anni e mezzo che ho questa sensazione. Ma ne riparleremo tra altri 40 anni.