Innegabile che alla base dei recenti (som)movimenti studenteschi ci sia lo zampino delle gatte di sinistra, che, attratte dal lardo dei numeri in piazza (evidentemente unica possibilità di fare «cucù, ci siamo anche noi!»), ammanniscono a giovanissimi speranzosi, vogliosi e disorientati le direttive su come entrare a far parte di centri (di de)sociali(zzazione).
Questi lager dell’ideologia creano realtà parallele autoreferenziali e nutrite di modelli spesso inattuali e generano fratture tra il gruppo che vi è confinato, aggregato dalla solidarietà, ed il resto della società. Un’incomunicabilità storica, perpetuata ad arte e alla quale gli studenti non sanno sottrarsi: troppo accattivante circolare liberi dalle angherie degli insegnanti per le strade di una città di cui si impossessano (con atti di violenza privata purtroppo autorizzata) espropriando i suoi legittimi fruitori; troppo attraente aggregarsi con coetanei, urlare al cielo qualcosa che neppure conoscono o capiscono, ballare sulle note di una musica mai sentita. Qui l’ideologia diventa scuola, on the road; ed ecco comparire i simboli dell’indottrinamento: magliette e striscioni di Che Guevara portate da ragazzi che pensano sia un cantante hip hop, canzoni politicamente orientanti, slogan da lotta veterocomunista. Una manna per il calo della fede, nella religione come nella politica molto attuale. È chiaro allora che un tenero virgulto della società educato a divertirsi, sostituendo modelli educativi, si proietterà in un futuro dove è lecito chiedere senza dare, ottenere senza impegnarsi, perché tutto è concesso a tutti. Mi stupisco che psicologi, educatori, famiglie non si rendano conto che la nuova droga sociale è il lassismo generalizzato, che addormenta le coscienze e neutralizza le volontà, che rende le persone massa, informe e incolore.
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